ites
ites

ALLARGARE IL CERCHIO.
LE CASE DELLE DONNE COME SPAZI FORMATIVI PER I PROFESSIONISTI DEL SETTORE SOCIO-EDUCATIVO

2018-2019

Ricercatrici: Maria Livia Alga, Susanna Bissoli, Houda Boukal, Rosanna Cima, Sandra Faith Erhabor, Elena Migliavacca, Fatima Lebron Oviedo.

La Derviscia, calligrafia araba di Amjed Rifaie
illustrazione di Valentina Cocciolo.

Luisanna Porcu scrive che il lavoro dell’operatrice nei centri antiviolenza, e aggiungerei in ogni luogo delle donne, «è un lavoro politico che si sviluppa su due fronti che si intersecano quotidianamente: uno è quello con le donne; l’altro è quello della produzione di saperi che contagiano la società tutta» (Porcu & Campani, 2016, p. 87).
Questa ricerca nasce da una chiara presa di coscienza presentatasi mentre come gruppo di ricerca riflettevamo sulla progettazione di percorsi formativi destinati ai servizi socio-educativi sui temi dell’accompagnamento di famiglie, spesso solo madri e bambini, considerate in situazione di vulnerabilità. Chi coinvolgere come formatrici? Che forma e ritmo dare alla formazione? Quali contenuti e strumenti offrire alla sperimentazione? Trovavamo molte risposte nelle pratiche quotidiane del Centro interculturale Casa di Ramìa del Comune di Verona, un luogo di incontro tra donne, ispirato al pensiero della differenza sessuale italiano, fondato da alcune di noi quindici anni fa.
Così, pur avendo sempre pensato ed esperito in prima persona come questa casa fosse un luogo di apprendimento e di cura, si faceva strada l’idea che potesse anche essere considerato a pieno titolo fonte di pratiche e situazioni formative, se non anche uno spazio formativo in sé, aperto a studentesse e professioniste dei servizi.
Questo passaggio ha richiesto un tempo di maturazione durante il quale un nucleo di ricercatrici e donne che partecipano assiduamente alle attività della casa e alla sua gestione nel quotidiano ha preso il tempo di nominare alcune pratiche, allenarsi a parlarne con chi non le aveva mai sperimentate, fare un lavoro riflessivo. Una pratica politica fa sapere se e quando entra coscientemente in circolo con il contesto in cui è nata, trasformandolo. Nominando le soglie che si attraversano si mettono in evidenza alcuni passaggi che ne definiscono il metodo.

Una parte di questo lavoro è stato possibile nel quadro di tre progetti europei Erasmus+ a cui abbiamo partecipato in una doppia partnership (Università di Verona, Dipartimento di Scienze Umane – Comune di Verona, in particolare Casa di Ramìa): 2015-2017 “Erasmus+ CapevFair Taking care of vulnerable women during perinatality”; 2016-2018 “PAGE (Parental Guidance and Education)”; 2018-2021 “GIFT (Growing up in family today)”.

 

INDICE

Diventare donne d’azione di Maria Livia Alga ___VII
La circolarità dei saperi di Rosanna Cima ___XIII

PRATICHE POLITICHE ___1

Quel cerchio luminoso. Le case delle donne come contesti per una formazione a partire da sé di Maria Livia Alga ___3
La casa delle donne nei Paesi Baschi: dibattiti, processi e alleanze di Miren Guilló-Arakistain, Mari Luz Esteban, Marta Luxán Serrano ___25
I territori delle donne. Gli spazi dei legami di Antonia De Vita ___42

FORME DELL’INCONTRO ___53

Cerchi di cura con le esperte d’esperienza di Rosanna Cima, Sandra Faith Erhabor ___55
Forza e fragilità del noi di Elena Migliavacca, Houda Boukal ___77
Il cerchio narrativo: da ricerca personale a pratica politica di Susanna Bissoli ___95
I luoghi dell’accoglienza. Un punto di vista privilegiato sulla violenza di Giuditta Creazzo, Alessandra Campani ___118

ESPERIENZE DI EDUCAZIONE COMUNITARIA ___149

La vie des groupements solidaires au Sénégal: au delà des intérêts économiques di Dieynaba Gabrielle Ndiaye ___151
Dar Rayhana: pratiques quotidiennes de femmes di Nacyb Allouchi ___163
Ninfe mediterranee. Dee/donne che (si) curano Memorie del corpo della voce e del ritmo di Barbara Crescimanno ___174

Le autrici ___199

Recensioni

Io c’ero al convegno, ci ero andata con la mia classe, con le ragazze di quinta. Eravamo arrivate col bus, nella pioggia, dalla nostra scuola di paese. Nel corridoio dell’università di Verona avevamo trovato i tavoli imbanditi, entrando si sentiva il profumo del caffè speziato, un grande telaio riempiva la parete, donne in abiti tradizionali sedute in terra, vicine a un tavolino di libri.
Le mie alunne erano spaesate, sembrava più una festa che una lezione. Una installazione artistica di plastica riciclata ci guardava mentre compilavamo il modulo di iscrizione, vicino al banchetto con i tessuti dal Senegal.
Nella grande aula, già piena, vicino alla cattedra delle relatrici erano esposti oggetti di artigianato, teli di stoffe, volantini di iniziative.
Il convegno ha avuto inizio con un canto, e solo dopo il canto ha parlato la direttrice di dipartimento. Le donne africane avevano portato i bambini e ogni tanto si alzava una piccola voce gioiosa dal pubblico.
Si alternavano lingue diverse, racconti di esperienze lontane, in un ascolto attento, sorpreso, che ispirava domande e confronti.
All’intervallo, tra i cibi preparati dalle donne presenti, i discorsi iniziati in sala si ampliavano con idee nuove, progetti, e si fermavano per ascoltare il canto che accompagnava il lavoro della tessitura. 
Le mie alunne se ne sono andate perplesse, leccandosi le dita appiccicate dai dolcetti al miele.
A distanza di un anno, a ottobre 2020, è uscito il libro: Allargare il cerchio. Pratiche per una comune umanità, edito da Progedit, (Bari), a cura di Maria Livia Alga e Rosanna Cima, che raccoglie le relazioni presentate in quei giorni. Leggerlo ora, in questo tempo di chiusure, distanze, volti coperti, timore del contatto, apre il cuore e il respiro. E invita a pensare ai prossimi passi, ai progetti necessari. A come riprendere l’elaborazione del sapere, all’importanza dell’atmosfera in cui si costruisce e si condivide anche nelle sedi accademiche. lnvita a ritrovare il cerchio, come forma sociale del racconto, del canto collettivo e della cura.
Impone la centralità del pensiero e dell’opera delle donne, che nelle istituzioni e nei servizi continuano ad elaborare percorsi di senso. A partire dalle pratiche dal pensiero femminista e dal riconoscimento della ricchezza che produce lo scambio tra le culture, emergono indicazioni chiare per ripensare il lavoro di cura nei servizi pubblici e nelle realtà sociali che fanno rete. L’attenzione è rivolta a ciò che accade vicino a noi e in diversi luoghi del mondo, accomunati dalla ricerca delle donne, da esperienze di creatività sociale, di modi di vivere attenti all’ambiente, alla non violenza, ad economie di cura e di saperi che coltivano il senso della vita.

Manuela Vaccari
Manuela Vaccari. Insegnante e Cultrice della materia in Pedagogia generale e sociale, Università di Verona

Dire la maternità: la parola alle donne migranti

a cura di Progetto Stella

Dalla sua fondazione nel 2004 il centro interculturale delle donne “Casa di Ramìa” ha sperimentato l’importanza di creare luoghi di ascolto e di libera presa di parola per le donne, sia italiane che di diversa cultura.
In questi 13 anni insieme abbiamo affinato gli strumenti dell’ascolto e del partire da sé nei corsi di lingua e nei cerchi narrativi per creare livelli di comunicazione profonda tra persone provenienti da esperienze molto diverse; grazie a questo si sono formate delle donne migranti che hanno saputo tradurre il disagio di sentirsi straniere in capacità di accoglienza e stimolo per altre mentre le donne italiane hanno imparato a decentrare il proprio sapere e aprirsi a nuove visioni.
Il linguaggio è un campo di battaglia, in particolare quando si parla di un tema forte e centrale nella vita di tutti, quale è la maternità. La diversità di culture e di parole racchiude una grande ricchezza, si carica di significati, emozioni, conflitti… come possiamo facilmente sperimentare se proviamo a chiedere in un gruppo proveniente da diversi linguaggi come si dice una certa cosa: in quanti modi si dice ragazza, in quanti donna sposata, in quanti madre.
Per poter parlare dell’essere madre, dell’esperienza vissuta da donne diverse per origine, condizioni materiali e scelte, abbiamo dovuto inventare nuove parole: in questa pubblicazione parleremo di “maternità allargata” e “maternità a distanza”, termini che abbiamo iniziato a usare all’interno del centro interculturale “Casa di Ramìa”.
“Maternità allargata” è un termine coniato all’interno dell’esperienza quotidiana della casa e poi raccolto attraverso momenti di narrazione collettiva, secondo il metodo proprio della casa che espliciteremo nelle note seguenti.
“Maternità a distanza”: questa parola raccoglie l’esperienza delle donne che devono migrare lasciando i figli ad altri membri della famiglia: un’esperienza dolorosa ma non solo, ricca comunque di vita… ma un’esperienza che trova spesso attorno a sé un muro di giudizi pesanti sul conto della madre, sia da parte dei familiari che degli operatori che si trovano a lavorare coi figli.

in collaborazione con Associazione Stella